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Cacao connection

di Fernanda Roggero

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Gianluca Franzoni, 43 anni, fondatore di Domori, azienda italiana produttrice di cioccolato pregiato. Sotto: i fratelli Franceschi (da sinistra, Juan de Dios, José Vicente e Alberto). Gli equilibri da cercare sono tre: nell'aroma, nel gusto e nella tattilità. Da queste premesse parte il codice di degustazione elaborato da Gianluca Franzoni, gourmet fondatore di Domori, che ha addomesticato l'incredibile complessità del cacao. Nell'Hacienda San José, una delle principali del Venezuela, ha trovato un laboratorio perfetto. Lì, grazie agli investimenti di Illy, si perfeziona la coltivazione del Criollo, la varietà più pregiata al mondo, che viene poi lavorata nello stabilimento di Torino

Hugo Chavez, camicia rossa e pugno alzato, sorride dal grande manifesto che inneggia all'"energia socialista". Alle sue spalle una spianata di bombole a gas.
Sulla strada che porta a Rio Caribe, stretta tra il mare e le piantagioni di cacao, i baracchini vendono un litro e mezzo di acqua minerale a 5 bolivar, più o meno due euro e mezzo, tanto quanto costa un pieno per la macchina. «È tutta qui la nostra contraddizione - sospira Alberto Franceschi, energico sessantaquattrenne alla guida, assieme ai due fratelli, di una delle maggiori aziende produttrici di cacao del Paese -. Il petrolio ci ha portato ricchezza ma ha polarizzato gli interessi. L'agroindustria è sfiorita, così oggi arriviamo a importare quasi l'ottanta per cento del fabbisogno alimentare. E ci sono settimane in cui la farina, lo zucchero o il burro sono introvabili». I tre fratelli Franceschi (oltre ad Alberto, José Vicente, di due anni più giovane, mente finanziaria del gruppo, e il sessantenne Juan de Dios, gioviale Indiana Jones del Tropico) hanno deciso di andare controcorrente.
Il cacao è un business di famiglia dal 1830, quando veniva usato per barattare prodotti provenienti dall'Europa al porto di Carupano, quasi cinquecento chilometri a est di Caracas, oggi sonnolenta cittadina, allora moderno centro commerciale, il primo in Venezuela ad avere tramvia e collegamenti telegrafici. Quarant'anni dopo i Franceschi si erano dotati di una sede operativa a Parigi e primeggiavano nei raccolti di cacao. Nel 1976, quando il Governo venezuelano decise di nazionalizzare il commercio della materia prima, la famiglia fece un passo indietro, ma non cedette le terre. «Con il monopolio i prezzi scesero talmente che la maggior parte dei produttori abbandonò le coltivazioni - spiega Alberto -. Noi che siamo di formazione ingegneri ci dedicammo al commercio di materiali da costruzione e diventammo concessionari di Chrysler e GM».
Nel 1991, cessato il monopolio, la famiglia si rimette in gioco. Decide di investire sul cacao di qualità, recuperando antiche varietà e puntando su quella più pregiata, il criollo. Dolce, rotondo, armonico. Ma delicato e con rese decisamente inferiori: al mondo vengono prodotte ogni anno oltre tre milioni di tonnellate di cacao e la quantità annuale di criollo in purezza rappresenta meno dello 0,001 per cento del raccolto mondiale. Il prezzo medio pagato per il cacao venezuelano è di circa 3.700 dollari alla tonnellata: produrne una di criollo ne costa settemila e se si vuole avere il meglio del meglio, la varietà chuao, il costo sale a novemila dollari. «Ma ne vale la pena, è paradisiaco - sorride Juan de Dios -. Due secoli fa persino i missionari chiesero al Vaticano di fare un'eccezione per il criollo durante il digiuno!».
Per ottenere una filiera di qualità pregiata, i Franceschi hanno stretto un accordo con l'italiana Domori, azienda produttrice di cioccolato gourmet, fondata nel '94 da Gianluca Franzoni e passata tre anni fa al gruppo Illy. Il progetto-qualità e la società mista da cui è nata l'Hacienda San José, 185 ettari di piantagione in via di completa riconversione a criollo con un investimento complessivo di oltre 1,7 milioni di euro, si devono a questo dinoccolato bolognese di 43 anni, perfezionista, schivo e appassionato.
Nel caso di Gianluca Franzoni forse non è esagerato parlare di ossessione. La sua, per il cacao, nasce intorno al '93. Terminati gli studi di economia e abbandonata l'idea di fare il commercialista, si trasferisce con un amico in Venezuela. «L'intenzione era quella di vendere prodotti da costruzione rispettosi dell'ambiente - racconta Franzoni al riparo di una posada, sotto una pioggia torrenziale -, ma in quegli anni il Venezuela era travolto da una crisi finanziaria e le opportunità di fare affari ci apparsero subito debolissime. Così passavo il tempo al circolo del tennis. In gioventù ho praticato anche atletica, calcio e nuoto a livello agonistico; ero una buona racchetta e davo lezioni a qualche imprenditore». Con uno di questi finì per lavorare, gestendo un ristorante italo-tex-mex a Porto La Cruz. «Lì ho cominciato a girare per le piantagioni, mi è nata la passione. Portavo i semi di cacao a casa, li tostavo in padella e poi li frullavo, ho bruciato un sacco di Moulinex!». L'attenzione per i sapori, il gusto del cibo, vengono da lontano. «Ho una memoria nitida sui cibi del passato: a dodici anni cucinavo dolci per i compagni di scuola e mentre facevo sport mi sono avvicinato alla macrobiotica. Ero abbastanza solitario, ho sempre vissuto in un mondo di sogni, adoravo Kipling e Salgari».
Poco più che adolescente, Franzoni va a caccia dei rarissimi fleur de sel (cristalli di sale marino; oggi ha una collezione ineguagliabile di mieli) e si interessa di profumi. Nei tre anni in Venezuela avrà poche fidanzate ma in compenso scoprirà tutto sulle più antiche varietà di cacao e ai semi preziosi dedicherà persino delle poesie, che verranno poi pubblicate in Italia. Nei Franceschi ritrova la sua stessa inflessibile passione per la qualità e con la famiglia Illy, cui nel 2006 cederà il cento per cento dell'azienda fondata nel '96, condivide la volontà di lavorare sulle origini. Domori oggi produce trecento tonnellate di cioccolato, cinque delle quali di qualità criollo, e ha un fatturato di tre milioni di euro. L'obiettivo di Riccardo Illy, il presidente del gruppo triestino con cui Franzoni ha in comune l'asciutta, rigorosa concretezza, è di farne una "criollo company" con un giro d'affari di otto milioni fra tre anni e almeno 1.500 tonnellate di cioccolato prodotto. Franzoni non ha incarichi strettamente operativi, ma è presidente, incarna l'immagine della società e si occupa di ricerca e sviluppo. Almeno tre-quattro volte l'anno è nella piantagione venezuelana a controllare innesti, raccolte e fermentazioni (fase essenziale per la conservazione delle biodiversità, in cui si avvia lo sviluppo degli aromi).
  CONTINUA ...»

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